Il Vino dalla vite alla bottiglia

LE BASI DELLA MODERNA VITICOLTURA

La viticoltura moderna è nata verso la fine del secolo scorso per un evento del tutto imprevisto, che indusse a moltiplicare gli studi, le ricerche e i progressi nelle tecniche di coltivazione.
Con gli scambi tra continenti, infatti, comparvero in Europa alcuni parassiti di provenienza nordamericana che misero in gravissimo pericolo la viticoltura, minacciando addirittura di farla sparire se non si fossero trovate idonee soluzioni.
Due di questi parassiti, l’oidio (Uncinura necator) e la peronospora (Plasmopora viticola), attualmente si combattono chimicamente,e mettono a dura prova l’agricoltura biologica che, usa soprattuto zolfo e rame.
La lotta biologica è stata invece molto efficace nel caso della fillossera (Fillossera vastatrix).
Questo piccolo insetto di origine americana della famiglia degli afidi, devastò i vigneti di tutta l’Europa prima che se ne conoscesse con precisione il suo comportamento, per poi poter eliminare completamente i danni.
Le viti americane hanno radici insensibili all’attaco di questo parassita, perchè adattate dopo anni di convivenza, creando uno stratto di sugero più spesso sotto la superficie radicale, cosi innocue dalle punture dell’insetto.
Le foglie, invece, della vite Europea non sono gradite alla fillossera,quindi ecco la soluzione: innestare le varietà europee di grande qualità organolettica sulle resistenti radici americane.

DAL MOSTO AL VINO

Il mosto che deriva dalla pigiatura è un liquido acquoso in cui sono disciolte le numerose sostanze contenute negli acini dell’uva. Oltre all’acqua sono presenti zuccheri, acidi, sali minerali, sostanze azotate, vitamine e naturalmente i lieviti, che sono i microrganismi in grado di far avvenire la fermentazione. Possiamo avere ad esempio il mosto concentrato, il filtrato dolce e il mosto muto.

Il mosto concentrato è ottenuto con un processo industriale attraverso il quale viene eliminata acqua portando la concentrazione di zuccheri fino al 50-70%. Il filtrato dolce è un mosto dal quale sono state tolte, con particolari processi di filtrazione, le sostanze azotate indispensabili ai microrganismi della fermentazione per cui si creano le condizioni perché questa non avvenga.

Anche nel mosto muto la fermentazione viene bloccata, ma in questo caso per l’aggiunta di una forte dose di anidride solforosa.
Il mosto, a poche ore dalla pigiatura dell’uva, inizia a fermentare spontaneamente, con la trasformazione degli zuccheri, se l’ambiente è adatto, principalmente in alcol etilico e anidride carbonica. Questa si libera sotto forma di bollicine che gorgogliano all’interno del mosto come in un liquido che sobbolle..

La prima fase dell’attività fermentativa, per la vivacità con cui avviene, è detta fermentazione tumultuosa e dura approssimativamente da 5 fino a 15 giorni. La trasformazione è opera di piccolissimi microrganismi formati di una sola cellula, i lieviti, presenti naturalmente a centinaia di milioni sulla buccia di ogni acino di uva. Ne esistono diverse specie, che variano di numero e di tipo a seconda del clima e dell’ambiente. I lieviti che rivestono particolare importanza sono lieviti apiculati e lieviti ellittici. I lieviti apiculati iniziano la fermentazione, ma producono poco alcol e molti prodotti secondari non graditi, tra cui l’acido acetico. Invece i lieviti ellittici si sviluppano in un secondo tempo e sono ottimi produttori di alcol.

All’inizio del processo di fermentazione naturale, regolato solo dalla solfitazione (cioè dall’aggiunta di anidride solforosa) e dal controllo della temperatura, sono presenti nel mosto in assoluta predominanza i lieviti apiculati. Essi iniziano a fermentare gli zuccheri, usando l’ossigeno e producendo anidride carbonica, poco alcol e molti prodotti secondari.

L’uso anidride solforosa per le sue molteplici azioni positive sull’andamento della fermentazione, è senza dubbio una pratica da consigliare. L’impiego di questa sostanza, alle dosi previste in enologia, è relativamente sicuro per quanto riguarda la salute dell’uomo, e non ha effetti indesiderati sulle caratteristiche del vino. L’anidride solforosa è un gas che si forma quando si brucia lo zolfo. Ha un odore sgradevole e soffocante,. E’ più pesante dell’aria e ha la caratteristica di potersi scogliere in acqua. Per svolgere in modo ottimale la sua funzione, l’anidride solforosa deve essere aggiunta all’uva ammostata subito dopo la pigiatura, prima che inizi la fermentazione, e deve essere ben mescolata con la massa.

I fattori in grado di influire anche in modo determinante sull’andamento della fermentazione sono temperatura e ossigeno. La temperatura ottimale è attorno ai 20°C , e gia a 25°C si hanno i primi inconvenienti. D’altra parte anche le basse temperature creano i loro problemi. A 10°C la fermentazione è lentissima e scendendo ancora si arresta. Nel caso di temperatura troppo elevata , bisogna raffreddare il recipiente di fermentazione per esempio facendo scorrere sulle pareti dell’acqua fresca. Nel caso di bassa temperatura, si riscalderà l’ambiente portandola a una temperatura adeguata, in modo che il mosto raggiunga circa i 18- 22°C .

Le migliori fermentazioni sono quelle lente, che avvengono a bassa temperatura e cioè tra i 15 e i 18°C .

Terminata la fermentazione tumultuosa rimane ancora nel mosto-vino qualche residuo di zuccheri . Essi verranno trasformati in alcol e anidride carbonica durante la cosiddetta fermentazione lenta, la quale inizia dopo la svinatura, cioè dopo che il mosto-vino viene trasferito dal recipiente di fermentazione a quello di conservazione. In pratica il mosto-vino, arieggiato un po’ per favorire e rilanciare lo sviluppo dei lieviti presenti, viene travasato nei nuovi recipienti (botte, damigiana), dove si completerà la trasformazione degli zuccheri in alcol e anidride carbonica.

Per permettere il regolare svolgimento della fermentazione lenta bisogna fare attenzione a che la temperatura non scenda sotto i 15°C circa.

Il recipiente di conservazione dev’essere provvisto di un gorgogliatore, cioè di una valvola che permette l’uscita dell’anidride carbonica impedendo l’entrata dell’aria . In effetti , in questa fase, la presenza di aria è dannosa perché può favorire l’insorgere di malattie causate da microrganismi che si moltiplicano in presenza di ossigeno.

La fermentazione malolattica è particolarmente consigliata per i rossi tradizionali (Barolo, Amarone, Chianti ecc.), mentre è poco indicata per i vini bianchi e rossi in cui si desidera una certa vivacità.

La fermentazione malolattica consiste nella naturale trasformazione di parte dell’acido malico in acido lattico e anidride carbonica. Il lattico è un acido assai più debole del malico, per cui si hanno una diminuzione dell’acidità del vino e un miglioramento delle caratteristiche organolettiche (sapore, odore, colore). La fermentazione malolattica è un processo naturale determinato da microrganismi specifici (batteri malolattici di varie specie) con formazione anche di prodotti secondari. Essendo favorita da un aumento della temperatura, avviene spesso in primavera o qualche mese dopo la svinatura, talvolta , se si verificano condizioni particolarmente favorevoli, può realizzarsi alla fine della fermentazione principale.

Se la fermentazione malolattica avviene subito dopo la svinatura o, comunque, prima dell’inizio dei freddi, si possono avere i vini pronti, o comunque nelle migliori condizioni, con vari mesi di anticipo rispetto a quelli in cui la fermentazione malolattica avviene in primavera.

LE TECNICHE DI VINIFICAZIONE

La prima tecnica , detta vinificazione in rosso consente di estrarre dalle parti solide del mosto, specialmente dalle bucce, i numerosi costituenti solubili che conferiscono al vino colore e sapore particolari, come coloranti, tannini e sostanze aromatiche.

La durata del contatto della parte liquida con la vinaccia dipende dal tipo di uva e dal tipa di vino che si vuole ottenere. Ad esempio, per un vino rosato il contatto deve durare solo poche ore, mentre per vini più ricchi di colore e di aroma può essere di vari giorni.

La fermentazione con la vinaccia è molto più attiva di quella in bianco, perché il mosto è più ricco di lieviti, di ossigeno e di sostanze azotate, particolarmente presenti nelle parti solide.

Nell’introdurre l’uva pigiata nel recipiente di fermentazione si farà attenzione a riempire il contenitore solo parzialmente ( circa ¾ del volume), onde evitare che durante la fermentazione , sotto la spinta del gas che si sprigiona , parte del mosto e della vinaccia trabocchino.
Nella cantina familiare , la vinificazione in rosso può essere condotta in due modi: con vinaccia galleggiante o con vinaccia sommersa.
Col metodo a vinaccia galleggiante la massa delle parti solide viene spinta liberamente verso la superficie dall’anidride carbonica che si forma durante la fermentazione. Questo fatto comporta il pericolo che la vinaccia , essendo esposta al contatto dell’aria, possa prendere odore di aceto.

Nella vinificazione in rosso con vinaccia galleggiante si rivela necessario rimescolare la massa per favorire il contatto del mosto in fermentazione con la vinaccia, consentendo cosi alle sostanze coloranti di poter entrare in soluzione.
Il rimescolamento della vinaccia all’interno del mosto può essere eseguito con un rimontaggio, cioè prelevando con una pompa il mosto dalla parte bassa del recipiente di fermentazione e facendolo successivamente cadere sulla vinaccia in superficie. Oppure mediante la cosiddetta follatura, che consiste nel frantumare e respingere la massa solida presente nel liquido con appositi attrezzi (detti “follatori”

Il follatore può anche essere costruito in casa. Si tratta di un’asta di legno( non si devono usare metalli), a una estremità della quale sono applicati dei pioli su piani diversi. Tali pioli servono per fare presa sulla massa della vinaccia . Si eseguono da una a tre follature al giorno a seconda che si desideri un vino più o meno ricco di colore.

La vinificazione in rosso con vinaccia sommersa consiste nel trattenere nel recipiente di fermentazione, con falsi fondi, all’interno del mosto. Con questo metodo si evitano rimontagli o follature, però non si hanno gli effetti positivi che offre il rimescolamento in fatto di arieggiamento e contatto della vinaccia col mosto. Quando il mosto-vino si sarà sufficientemente arricchito di colore, si effettuerà la svinatura, che consiste nello svuotare il recipiente di fermentazione facendo uscire il mosto-vino (detto anche vino-fiore)dalla bocca inferiore. Il mosto-vino va raccolto in una tinozza e da questa travasato, con una pompa o con secchi e imbuti per esempio, in una botte o in un altro contenitore.

La vinificazione in bianco è usata per preparare i vini bianchi. Consiste nel fermentare il solo mosto dopo averlo separato dalle parti solide: raspi, vinaccioli e bucce. Si ottengono cosi vini di poco colore, e di sapore più delicato a quelli preparati con la macerazione. Con questo metodo vengono preparati anche vini di qualità superiore, ad esempio gli spumanti.
La vinificazione in bianco è un sistema molto delicato, che richiede precauzioni perché i vini cosi ottenuti sono più sensibili alle malattie causate dai microrganismi , e all’azione dell’ossigeno che può provocare cambiamenti nelle loro principali caratteristiche: colore, sapore.
La fermentazione in bianco è sempre più lenta di quella con le vinacce, per cui bisogna prestare particolari attenzioni per favorirla e per impedire che si arresti, usando dosi relativamente basse di anidride solforosa, e arieggiando con travasi nella prima fase, per favorire la moltiplicazione dei lieviti.

Anche per la vinificazione in bianco bisogna ricordare di non riempire eccessivamente il recipiente di fermentazione , per evitare che durante la fermentazione le schiume che producono trabocchino all’esterno